Uno studio della CGIA di Mestre ha stimato che in Italia ci sarebbero almeno 3,3 milioni di lavoratori in nero che generano 77,3 miliardi di euro di fatturato all'anno e che la zona più interessata dal fenomeno del lavoro nero è il Sud.
Il datore di lavoro che "assume" un lavoratore in nero commette un illecito amministrativo, tranne che non si tratti di un clandestino irregolare nel qual caso ci sono anche responsabilità di natura penale.
Il datore di lavoro, pertanto, salvo i risvolti di natura penale, è tenuto a pagare delle pesanti sanzioni pecuniarie che crescono con il crescere del numero dei dipendenti a nero e dei giorni durante i quali è stata eseguita la prestazione lavorativa.
SI parte da un minimo di Euro 1.800 fino ad un massimo di 43.200.
Attenti perché con il lavoro in nero rischia anche il dipendente.
Infatti, se percepisce dei sussidi statali (es. reddito di cittadinanza, NASPI, ecc,) commette un reato (falso in atto pubblico, truffa ai danni dello Stato, ecc.).
Non solo ma viene interrotta l'erogazione del beneficio e le somme percepite devono essere restituite, salvo che lo stipendio erogato sia inferiore agli 8.000 euro annui.
Il lavoratore in nero ha gli stessi diritti del lavoratore regolarmente assunto: trattamento retributivo previsto dai CCNL, ferie, tfr, permessi, ecc.. Non può essere licenziato se non per giusta causa.
Entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, anche se in nero, può chiedere il pagamento di tutte le differenze retributive non versate.
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